Protagonisti del secondo ciclo di incontri sul tema CONOSCERE IL BOSCO organizzati dall’Associazione fondiaria ASFODELO sono gli animali che popolano le aree forestali del Monferrato.

Gli appuntamenti nei pomeriggi di sabato 15 e 22 ottobre a Sala Monferrato coinvolgeranno la cittadinanza e gli interessati insieme ad alcuni esperti che “daranno voce” agli animali selvatici: due “sentinelle” delle riserve ambientali, Laura Gola, referente del Parco del Po Piemontese, e Luca Giunti, guardiaparco nelle Aree Protette delle Alpi Cozie che con Fausto Solito, veterinario all’ASL di Asti e nelle Aree Protette delle Alpi Marittime, rappresenta gli operatori impegnati nel progetto LIFE WolfAlps EU. Gli specialisti infatti esporranno i dati statistici che hanno raccolto svolgendo ricerche e interventi di monitoraggio nelle foreste, così aggiornate informazioni scientifiche sui cambiamenti e problemi ambientali che modificano gli ecosistemi e la loro biodiversità e, di conseguenza, le abitudini e i comportamenti degli animali selvatici e sulle malattie che minacciano gli abitanti dei boschi. I partecipanti contribuiranno con le proprie conoscenze e testimonianze sulla fauna selvatica con cui convivono negli habitat. In particolare, la condivisione permetterà di confrontare osservazioni e analisi sulla propagazione della PSA (Peste Suina Africana) tra i cinghiali e sulle abitudini dei lupi che, recentemente, sono tornati a risiedere, quindi a cacciare, in Monferrato.

Gli incontri sono coordinati dall’Associazione fondiaria ASFODELO, che li organizza parallelamente allo svolgimento delle proprie attività, gli interventi conservativi e attività agro-silvo-pastorali che ha pianificato sviluppando il Progetto Food For Forest dall’Associazione Fondiaria Cornalìn promosso in collaborazione con il Dipartimento DISAFA dell’Università degli Studi di Torino e realizzata nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale 2014/20 della Regione Piemonte finanziato dal FEASR / Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale nell’area delle municipalità di Sala Monferrato, Ottiglio e Cella Monte. In specifico, l’associazione opera per il recupero all’uso di terreni agricoli incolti e boschi del territorio, di cui incentiva la cura e lo sfruttamento con sistemi ecologici: provvedendo alla raccolta del legname morto favorisce l’accrescimento e la rigenerazione delle specie arboree e promuove la produzione di salumi tipici della località rinnovando l’antica pratica del pascolo suino in bosco, un sistema di allevamento che giova alla salute degli animali, migliora la qualità delle carni ed è anche un funzionale ed efficace “strumento” di pulizia del sottobosco e contenimento delle specie infestanti.

Purtroppo la nuova malattia che aggredisce i cinghiali impone misure di sicurezza che rallentano la ripresa di questa e altre attività tradizionali, come la caccia della selvaggina, e la presenza del lupo minaccia mandrie e greggi che, oggi come in passato, pascolano in radure e boschi del Monferrato. Per risolvere efficacemente questi problemi è indispensabile considerare molte questioni complicate e provvedere a tante necessità, con attenzione a una priorità: la salute delle comunità abitanti nel territorio, anche delle sue popolazioni vegetale e animale che vivono nei boschi.

Una soluzione funzionale a sfruttare le risorse delle aree forestali a vantaggio della comunità locale e a beneficio della fauna selvatica e un’esperienze di pacifica convivenza con i lupi che dimorano nei boschi sono descritte proprio da alcune vicende accadute in Monferrato all’inizio del XIII secolo

UN BOSCO MILLENARIO – Le attività svolte dall’Associazione fondiaria ASFODELO rinnovano antiche tradizioni di sfruttamento delle foreste con uso “controllato”, commisurato alla rigenerazione, delle loro molteplici risorse. I modelli di gestione sostenibile dei patrimoni ambientali oggi d’avanguardia hanno similitudini e affinità con le differenti consuetudini che accomunano molte popolazioni indigene di tanti paesi del mondo e nelle cui culture si tramandano ancestrali conoscenze dei territori che adesso costituiscono un’importante fonte di informazioni sugli habitat e sulle “leggi di natura” che regolano le complesse dinamiche del ciclo della vita negli ecosistemi in cui si preserva la biodiversità. In Italia tante foreste, molte diventate parchi protetti dagli enti di tutela, che dal paesaggio alpino alle “macchie” mediterranee dipingono un panorama molto variegato. Invece della foresta planiziale che si estendeva nella Pianura Padana e progressivamente disboscata per metterne a coltura i terreni rimangono solo pochi e radi “relitti”… tra cui il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino. Da quando, per ricavarne i fertili campi coltivati con i loro metodi innovativi, i monaci cistercensi di La Ferté che i marchesi del Monferrato avevano invitato a dimorare nel feudo italiano e dal 1123 insediati a Santa Maria di Lucedio avevano cominciato ad abbatterne gli alberi, i trinesi avevano tenacemente rivendicato l’uso della foresta si protendeva dall’abbazia fino alla cittadina e la Carta delle Libertà siglata nel 1227 dal marchese del Monferrato Bonifacio II attesta la concessione di una sua porzione ad alcuni popolani, secondo la tradizione coloro i quali avevano faticosamente lavorato alla costruzione del castello feudale, più verosimilmente quelli che avevano contribuito a svincolare il borgo dal dominio di Vercelli e, con la riannessione al feudo, favorito la casata alleata all’Impero contro la Lega Lombarda e finanziato la sua partecipazione alle crociate in Terra Santa. Gli eredi di questi trinesi nel 1275 si aggregarono nella Partecipanza, cioè l’associazione, per amministrare il bosco come una proprietà collettiva e, mediante l’annuale sorteggio per l’assegnazione dei lotti in cui ciascuno può ricavare legname, impegnando tutti i possidenti alla “pulizia” e alla cura dell’area forestale. In passato questo sistema di gestione aveva la funzione di garantire la rigenerazione degli alberi e delle risorse e, così, un costante e incessante approvvigionamento di legname con cui costruire e riscaldare le case e cucinare il cibo, di alimenti indispensabili per una dieta nutriente (castagne, bacche, funghi, tartufi,… e selvaggina) e di piante officinali, inoltre di una zona di pascolo degli ovini e dei suini domestici. L’efficacia del metodo è dimostrata dalla longevità del bosco, adesso una riserva ambientale che ha un valore enorme: un sito naturalistico di interesse scientifico compreso nel sistema di Aree Protette sorvegliate dall’ente Parco del Po piemontese e, oltre che come area produttiva di legno certificato dal Forest Stewardship Council e recensita nel catalogo di foreste dimostrative censite dall’Associazione ProSilva, proficuamente sfruttato per lo svolgimento di attività didattiche e turistiche.

UN LUPO STORICO – Il protagonista della leggenda testimoniante che nel medioevo il lupo viveva nei boschi del Monferrato è Francesco d’Assisi (1181-1226). Molto simile a quella ambientata a Gubbio, dove il giovane Giovanni di Pietro di Bernardone aveva trascorso il primo periodo della propria vita religiosa (1206-1208) e istituito la congregazione di frati minori, la storia è collegata al viaggio compiuto dal santo tra il 1213 e il 1215 nel suo primo tentativo di raggiungere la Terra Santa. Durante la “peregrinazione”, interrotta in Spagna, Francesco sostò nella Civitas Nova dedicata a papa Alessandro III che, a fortificare i propri domini al confine con i feudi monferrini fedeli all’imperatore Federico Barbarossa, la Lega Lombarda aveva fondato nel 1168 accorpando tre villaggi, Gamondio, Marengo e Bergoglio, abitati dalle tribus loci celto-liguri dei Gamunde, Meringin e Bergul, siti in un’area strategica, la radura di Rovereto alla confluenza tra i fiumi Tanaro e Bormida. Tommaso da Celano, che era entrato nell’Ordine dei frati minori nel 1215 e dal 1228 al 1250 scrisse le prime biografie del santo, riferisce che “ad Alessandria di Lombardia” Francesco venne ospitato da un uomo “timorato di Dio e di lodevole fama, che lo pregò di mangiare, secondo quanto prescrive il Vangelo, di tutto quello che gli fosse posto davanti. Ed egli acconsentì volentieri”. La leggenda narra che, siccome in quel periodo una lupa aveva appena partorito e, per sfamare la cucciolata, cacciava aggredendo anche i pastori delle greggi, cioè i fanciulli, e avventurandosi persino in città, la popolazione atterrita si appellò a Francesco e lui, come mostra il bassorilievo del XIII secolo incastonato sulla porta d’entrata del duomo di Alessandria, si avvicinò alla belva e l’ammansì. Il racconto si conclude riferendo che da allora la lupa divenne una premurosa compagna di giochi dei bambini, da cui si faceva anche cavalcare…

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